
Nel vortice di un incubo, Saturno si erge: un mostro avvolto nell’oscurità, l’incarnazione della follia, che divora la carne dei suoi stessi figli, brandelli di vita strappati via con furia animalesca. Guardate attentamente! La sua bocca, un abisso, inghiotte l’innocenza, mentre le sue mani, artigli di un potere insaziabile, afferrano un corpo inerme come se fosse solo una marionetta, da distruggere senza pietà. Qui, nel dipinto di Goya, la follia si mescola con il sangue e la carne, dando vita a una scena che oscilla tra l’orrore e la poesia, un’epifania dell’umanità ridotta a stracci.
Ogni pennellata di Goya è un grido silenzioso, un urlo di rabbia che risuona tra le pareti del tempo. Saturno, con il suo sguardo frenetico e torvo, non è un dio ma un relitto di un’epoca che ha smarrito il suo senso. Non c’è sfondo a sorreggerlo, solo un abisso claustrofobico che si chiude attorno a noi, una prigione di ombre dove il potere si trasforma in un appetito vorace, un’insaziabile fame di dominio.
E mentre Saturno si nutre dei suoi figli, il mito si trasforma in una potente allegoria della violenza ciclica del potere. Non è solo un padre, ma un simbolo di ogni autorità che distrugge e consuma per preservare il proprio trono. Qui la ragione è un lontano ricordo, un eco sfocato. Il suo gesto è irrazionale, la sua ferocia è pura: egli è l’incarnazione del tempo che consuma tutto, l’ira divina che non conosce pietà.
Ma cosa siamo noi?
Siamo tutti Saturno, affamati di ambizioni e desideri, pronti a sacrificare l’altro sull’altare del nostro ego. La società è un campo di battaglia, e noi siamo i guerrieri di una guerra silenziosa, in cui ogni giorno mangiamo i sogni altrui per sfamare le nostre insoddisfazioni. In questo teatro di orrore, Goya ci costringe a guardarci dentro, a confrontarci con la nostra ombra.
“Qual è il prezzo della vostra ambizione?” ci chiede il maestro, mentre ci scruta attraverso i secoli. “Cosa siete disposti a sacrificare per un attimo di potere?” La risposta è agghiacciante: siamo disposti a divorare la nostra stessa umanità.
Nel suo abbraccio di orrore e poesia, Saturno diventa lo specchio della nostra anima, un demone che si nutre delle nostre paure e delle nostre frustrazioni. Ogni boccone che inghiotte è un pezzo di noi, una parte della nostra essenza che scompare nell’oblio. La carne consumata, priva di vita, diventa un simbolo del nostro stesso annientamento. E così, mentre Saturno si fa beffe di noi, il suo sguardo ci interroga: “Siete pronti a riconoscere la vostra natura distruttiva?”
La verità è che siamo prigionieri di un ciclo eterno, un catastrofico catafascio che assorbe ogni sogno e ogni ideale. Con una penna grottesca e inquieta, Goya ci invita a vedere oltre il velo della realtà, a percepire il nostro stesso sguardo riflesso in quel dipinto. Siamo complici in questo banchetto di sangue, e in fondo, non possiamo sfuggire alla verità: noi siamo Saturno, e questo è il nostro canto di morte.
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