L’innocenza della follia: Lucio Corsi e il mistero dell’esistenza

Pubblicato il 23 febbraio 2025 alle ore 17:04

Eccolo, su quel palco sospeso tra il cielo e l’infinito, illuminato da una luce che sembra filtrare direttamente dal sogno di un dio annoiato. Ha i capelli lunghi come i rami di un albero antico, lo sguardo febbrile di chi ha visto mondi che gli altri nemmeno immaginano. Spinge il suo carrello di meraviglie come un vecchio alchimista in cerca dell’ultima formula, scheletrico e possente insieme, con la voce di un bambino che non ha mai imparato a mentire.

 

Lucio Corsi canta "Cosa faremo da grandi?", e la domanda si spalanca come una bocca affamata: che ne sarà di noi? Ma lui non trema, non ha paura dell’incertezza, sa che l’unica strada è perdersi, farsi portare via dal vento, dimenticare i binari, lasciar rotolare le conchiglie in direzioni sconosciute.

 

E allora si mette in viaggio, non con i piedi, ma con la mente. Si domanda di cosa siano fatte le conchiglie e nel farlo spalanca un sipario su un’altra realtà, quella che solo i folli e i bambini riescono a vedere. E Lucio Corsi è entrambe le cose, sia chiaro. Lui sa che la vita è un gioco da buttare nel vento, che il tempo è un castello di sabbia pronto a sbriciolarsi sotto le onde.

 

Ma cosa faremo da grandi? Grandi davvero, oltre la pelle, oltre la carne, oltre le ossa? Quando saremo altro, e forse nessuno?

 

Forse saremo come le conchiglie della sua canzone, dipinte da mani ignote, trasportate dal caso lungo spiagge affollate, senza strade, senza scalinate dal cielo. Opere d’arte dimenticate, lavori di anni gettati al vento da un dio distratto, o da noi stessi, stanchi di cercare un senso che non esiste.

 

Eppure, in questa resa, c’è una strana, meravigliosa libertà. Non sapere cosa faremo da grandi significa non avere confini, restare sospesi nel possibile, trasformare ogni fallimento in un’occasione per ricominciare da capo. Come la donna che colora le conchiglie e poi torna all’inizio, come l’uomo che le crea e poi le getta via.

 

Lucio canta e immagina. Sorride. Si lascia attraversare dalla bellezza del non sapere, dalla libertà di chi non ha bisogno di risposte. E intanto il vento raccoglie il lavoro di anni e lo sparge nel mondo, come semi di un sogno che non smetterà mai di germogliare.


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