La danza della sofferenza: Alda Merini, la poetessa delle stelle

Pubblicato il 8 marzo 2025 alle ore 07:48

Oggi, in questa festività che strilla di celebrazioni superficiali e sorrisi plastificati, ci fermiamo, non per onorare un’idea astratta di donna, ma per abbracciare la tempesta di vita e follia di una grande anima: Alda Merini. Una creatura che ha trasmutato la sofferenza in poesia, il dolore in virtù, danzando con le ombre in un palcoscenico di carne e parole.

Immaginate un sipario che si apre su una scena inquietante: Alda, fragile eppure titanica, è un’eroina di un dramma in tre atti, in cui la vita si svela come un’opera di teatro dell’assurdo. “Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso,” grida l’anima sua, un granello di colpa persino agli occhi di Dio. La sua bellezza, spezzata in mille schegge di dolore, è un’armonia di grida silenziose, di guerre sante per l’emancipazione che l’hanno costretta a indossare maschere di dolore.

Nel suo cammino, Alda ha abbracciato il dolore, ha camminato attraverso le sue fiamme, esplorando le pieghe più oscure della sua anima. Non si è mai lasciata condannare dalla sofferenza; al contrario, l’ha accolta come una compagna di viaggio, una musa che ha alimentato la sua arte. La sua penna, intrisa di lacrime e speranze, ha tracciato un sentiero luminoso nel buio, trasformando ogni cicatrice in un’opera d’arte. “Io la vita l’ho goduta tutta,” afferma, eppure il suo cuore porta il peso di un’esistenza che ha combattuto con tutte le forze.

La sua esperienza nei manicomi, quel “cappio al collo” che minacciava di spezzarle il canto, diventa un rito di passaggio, una cerimonia in cui la follia si trasforma in una danza macabra. “Quando ci mettevano il cappio al collo e ci buttavano sulle brandine nude, insieme a cocci immondi di bottiglie,” racconta, mentre il sudore degli orti maledetti scorre come un fiume di ricordi. Ogni lacrima è un seme di resistenza, un germoglio di poesia che cresce in mezzo alle macerie.

Alda, come un alchimista della parola, ha saputo trasformare il pianto in canto. Ha fatto del suo dolore un canto di libertà, un inno di rinascita. “Quando venivamo inchiodati in un cesso per esser sottoposti alla Cerletti,” ricorda, “era in quel momento che la Gestapo vinceva,” ma lei non ha mai ceduto, non ha mai rinunciato a sperare, a sognare. Ha sempre trovato la forza di rialzarsi, di combattere, di danzare tra le ombre, abbracciando la sua follia con l’amore di una madre.

“Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi,” confessa, eppure non teme la durata del suo dolore; al contrario, lo vive con una profonda consapevolezza, come un regalo prezioso. La follia non è una condanna, ma un’apoteosi, un viaggio attraverso un labirinto di sofferenza dove il dolore si trasforma in arte. Il manicomio, quel “crocevia senza giustizia,” rivela la grande potenza della vita, una vita che Alda ha “goduta tutta,” come una fiamma che brucia intensamente, consumando tutto ciò che incontra.

Oggi, mentre il mondo si riempie di omaggi insipidi e superflui, alziamo i calici al genio folle di Alda Merini. Riconosciamo in lei la donna che ha fatto della sofferenza un canto immortale, che ha trasformato le cicatrici in storie e il dolore in poesia. La sua voce risuona attraverso i secoli, come un canto di sirene, una melodia di libertà che ci invita a danzare con le nostre ombre. In questo giorno di celebrazione, glorifichiamo la sua grandezza e la sua follia, perché la vita di Alda Merini è un’opera d’arte che continua a ispirare e a sfidare le convenzioni. E in questo abbraccio alla sofferenza, troviamo la vera forza, la capacità di trasformare il nostro dolore in bellezza e la nostra fragilità in un canto eterno.

A tutte le Donne :

“Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso

sei un granello di colpa

anche agli occhi di Dio

malgrado le tue sante guerre

per l’emancipazione.

Spaccarono la tua bellezza

e rimane uno scheletro d’amore

che però grida ancora vendetta

e soltanto tu riesci

ancora a piangere,

poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,

poi ti volti e non sai ancora dire

e taci meravigliata

e allora diventi grande come la terra

e innalzi il tuo canto d’amore.”


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